venerdì 11 gennaio 2008

La Mia Città :)


A metà dell’arco che circoscrive il Golfo Tarantino, 4 km circa distante dal mare e su di un colle dei contrafforti appenninici che si protendono al lido a dare inizio all’antica pianura Siritide, sorge sontuosa Rocca Imperiale ( Non ci si meravigli se trattando di Rocca e della sua storia fino ai primi decenni dell’800 si farà riferimento prevalentemente alla Basilicata; giacché, essendo terra di confine, fino al 1816 ha sempre fatto parte della Basilicata ed ha sempre avuto, ed ha tuttora, rapporti frequenti con i centri limitrofi di questa Regione). Il suo abitato, edificato sulla convessità orientale del pendio, a meno di 200 metri di altitudine, ha le case disposte a gradinata ai piedi della fortezza che gli diede il nome, e ristretto com’è su un’area pressoché inampliabile, con i suoi viottoli, le ripide salite di accesso alla sommità, il campanile vetusto e la severa mole delle costruzioni militari, conserva l’aspetto di un borgo medievale ingentilito dl progresso, ma non sostanzialmente mutato da qual era nei secoli decorsi. Finestre e veroni spaziano sulla calma distesa dello Jonio e, dalle eminenze del castello, il panorama costiero si rappresenta bello e suggestivo. A destra e alle spalle, con vario susseguirsi di declivi, di ondulazioni e di avvallamenti, si elevano i monti; ma sfuma a sinistra l’orizzonte sulle alture salentine ingemmate di ville e d’incolati e, nello spazio interposto, sul piano ammantato di verde, ecco delinearsi le zone archeologiche di Siri, Eraclea,Pandosia e Metaponto, culle della prima civiltà Italica. Al tempo delle “polis” questo fertilissimo lembo della Magna Grecia veniva posto da Archiloco e da Erotodo come termine di paragone alle più desiderabili contrade del globo; poi le lotte per l’egemonia locale, fra i centri Italioti, e l’invidia di favolose ricchezze, vi apportarono quei lutti e quelle distruzioni che le guerre di Pirro, di Annibale, di Spartaco e dei Goti resero definitive ed irrimediabili. Sparirono così le tracce delle “città – stato” ioniche ed achee e, uniche superstiti di un’era remota e fastosa, rimasero le colonne del tempio metapontino di Dioscuri.

Il Castello

Il forte appare come un’enorme nave di pietra, la prua rivolta verso Sud, le grigie fiancate protette da torri simmetriche, e sopra coperta, il cassero scagliato nel cielo. Analizzandolo nei suoi elementi, risulta costituito da un mastio poligonale a scarpa i cui lati più brevi, a Sud, si innalzano su un profondo burrone e i rimanenti, e pianta quasi rettangolare, sono rafforzati da due torri cilindrico – tronco – coniche ad Oriente, da una a sperone allo spigolo Nord-Ovest (torre frangivento) a da latra cilindrica,a sezione costante, al centro del lato posteriore,ad Ovest A sua volta il Mastio, tranne nei lati meno accessibili, è circondato da un muro di cinta provvisto di parapetto, che forma il fossato largo e profondo circa 8 metri; di un ponte levatoio esterno, di una via sopraelevata racchiusa in un bastione merlato anch’esso a sperone, alto 20 metri e di un secondo ponte levatoio più grande, interno, che chiudeva il portale di ingresso.

Nella rocca, scaloni, arcate, fornici e spiazzali sorprendono ancora per il senso di vastità che vi impera; ma destano ancora assai meraviglia le previdenze e gli accorgimenti per rendere l’edificio inespugnabile, mediante l’assicurazione dei rifornimenti logistici con locali per deposito di olio e di grano, cinque cisterne a decantazione d’acqua ed una finestra che dà sulla costa scoscesa ad Occidente, nonché le sporgenze delle torri, un triplice ordine orizzontale di feritoie e una lunga serie di merli per battere efficacemente da ogni punto e con pochi uomini il suolo circostante.

Non mancano scuderie razionali per i cavalli del signore e degli uomini d’arme, casematte, sotterranei, corridoi intercomunicanti e trombe per l’aerazione nelle torri; anzi diverse gallerie furono interrate e si dice che ve ne fosse una, ora non rintracciabile, di uscita segreta all’esterno.

Uno stanzone tetro tuttora esistente custodiva i prigionieri e più giù, dopo una serie di ambienti vari, era la sala dei supplizi, nella volta della quale è ancora infisso un anello di ferro che serviva per dare i tratti di fune e forse anche per le impiccagioni.

A tutto questo complesso architettonico erano poi collegate le mura del paese che svolgendosi dal “Murorotto”, sul fianco di casa Giannattasio, dove si notano i resti di una torre quattrocentesca, raggiungevano “la Croce”, indi “l’Ospedale” e casa Moliterni dove avevano termine sull’orlo del precipizio di “Scalella”.

Quale parte abbia avuto Federico II di Svevia nella fortificazione del castello oggi non è possibile precisare perché, se si eccettuano una finestra ogivale disadorna, di arenaria, il portale del massimo ponte, la torre cilindrica posteriore e qualche feritoia che non risponde più allo scopo cui era stata precedentemente destinata, nessun elemento artistico è riferibile al secolo XIII, e invece l’aspetto esterno del castello, il toro longitudinale, gli archetti pensili arabo – siculi della torre di Sud-Est e la merlatura guelfa sono aragonesi, mentre gli alloggi, settecenteschi.

La soluzione più ovvia è che Alfonso d’Aragona non si limitò solo, nel 1487, a rafforzare la rocca, ma la ampliò e rifece in modo da coprire il vecchio monumento svevo, forse più piccolo e con torre centrale quadrata.

Nel Medio Evo è risaputo che una consuetudine imponeva alle popolazioni locali e limitrofe l’obbligo della prestazione gratuita d’opera, per tutto il tempo necessario alla costruzione e alla riparazione dei palazzi reali e degli edifici militari, di maniera che solo gli operai provenienti da zone non comprese negli obblighi erano ricompensati.

Senza la partecipazione dei Rocchesi ai lavori non sarebbe altrimenti spiegabile la tradizione della fornitura a passamano, a mezzo di una catena di uomini, all’uso romano, dal torrente “Salso” alla cima del colle da fortificare, dell’ingente materiale litico occorrente, perché ad un’opera tanto grande dovettero collaborare centinaia di muratori e migliaia di manovali.

Ultime modificazioni ed aggiunte murarie furono quelle apportate ai vani abitabili, nel 1700 dai duchi Crivelli, che vollero fare della fortezza una piccola reggia. Ma, abolito il feudalesimo, l’ultimo Signore che risiedeva a Napoli, si sbarazzò dei mobili e degli arredi ed attorno al 1835 vendette persino le coperture dei tetti e gli infissi, iniziando così quel periodo di devastazione che negli anni di abbandono ridusse l’enorme mole a cava di materiale edile, soggetta ad ogni sorta di vandalismo.


La Marina di Rocca Imperiale

Bagnata dalle acque del mare Jonio per 7 Km. di spiaggia alternata da scogli, ciottoli e fine sabbia dorata verso il confine Lucano la marina di Rocca Imperiale, distante appena 4 Km dal centro storico, si pone come meta privilegiata per la balneazione, beneficiando di strutture balneari d’ogni tipo. Di importante rilevanza storica l’imponente magazzino fatto costruire nel XVIII secolo (1731) dal duca Fabio Crivelli a testimonianza dell’importanza marittima e commerciale di Rocca Imperiale e la Torre di Guardia del XVI secolo (1563-69).

Le zone archeologiche di Monte Soprano, Masseria Saliva, Timpone Ronzino, Murge Santa Caterina (in questo luogo si presume, da alcuni resti in muratura e dal rinvenimento di cocci di vasellame ed altri oggetti, la presenza di un antico presidio con funzione di avamposto per la difesa del Castello) rappresentano un museo a cielo aperto nel panorama dell’antica Siritide. In contrada Cesine a poca profondità dalla superficie, sono stati rinvenuti ruderi di fabbriche a condutture laterizie, le quali ultime sembra vengano da Ciglio dei Vagni con sbocco in una cisterna (tullianum) di malta durissima, accanto a cui era possibile notare la vasca di un “trapetum”. In grande quantità, con i lavori agricoli di aratura, appaiono tombe di diverse età e di diverso tipo. Alcune ad umazione, formate da una lastra di tufo poggiante su altre due più piccole, poste in senso verticale, manifestano la loro derivazione dal tipo dolmenico; altre, ad incinerazione, contengono oggettini vari anche in oro (anellini, spille) ed atre ancora sono costituite da urne cinerarie decorate a rilievo racchiuse in rozzi sarcofaghi. Di maggiore attenzione fu il ritrovamento di una punta di lancia di bronzo, una bottiglia di sagoma egiziana, qualche statuetta fittile acefala, lucerne, urne e vasetti vari rinvenuti nei pressi di una duplice deposizione di cadaveri, col capo su origliere di pietra, praticata sotto il pavimento di una capanna rettangolare con uno dei lati più brevi absidato di tipo orientale, che subito si disfece.

All’estremità nord del lungomare di Rocca Imperiale Marina, esiste un ampio parco pubblico attrezzato di giochi e vaste zone d’ombra con tavoli e panchine. Non mancano i festeggiamenti popolari, e sono giorni in cui il paese cambia volto, assumendo quello di un centro festaiolo, con spettacoli musicali e pirotecnici e le strade bardate da sfarzose luminarie.

Numerose sono le occasioni di svago durante il periodo estivo, grazie all’organizzazione di spettacoli all’aperto, manifestazioni ludiche, festive, ricreative e culturali.

I costumi, il patrimonio architettonico e storico, la civiltà, il clima, le bellezze naturali del mare e della qualità delle acque, la ricchezza della collina e della montagna retrostante, la posizione geografica tra il Parco Nazionale del Pollino, la piana di Sibari e l’area del Metapontino, costituiscono per Rocca Imperiale un pregevole richiamo per una tappa importante negli itinerari possibili della regione Calabria.

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